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Personal Project

L'attesa

La gente aspettava per tutta la vita. Aspettava per vivere, aspettava per morire. Aspettava in fila per comperare la carta igienica. Aspettava in fila per prendere i quattrini. E se non aveva quattrini aspettava in file più lunghe. Aspettavi per dormire e poi aspettavi per svegliarti. Aspettavi per sposarti e poi aspettavi per divorziare. Aspettavi che piovesse, poi aspettavi che smettesse. Aspettavi per mangiare, poi aspettavi per mangiare di nuovo. Aspettavi nello studio di uno strizzacervelli con una masnada di psicopatici e ti chiedevi se lo fossi anche tu.
(Charles Bukowski)

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Stenopeico

Il concetto di fotografia stenopeica deriva dalla camera oscura, una stanza completamente buia con un piccolo foro su un lato e un pittore all'interno, il quale traccia e copia l'immagine proiettata. La camera oscura era più una scoperta che un'invenzione. Le prime idee risalgono al V e IV secolo a.C., quando sia i cinesi sia Aristotele cominciavano a parlare di immagini invertite, dovute alla luce passante attraverso un foro. La prima camera oscura nacque nel IX secolo d.C., quando lo scienziato persiano Ibn al-Haytham pubblicò il libro "Deli Aspecti", scrivendo di questa nuova invenzione. Lui, infatti, aveva pensato di creare un foro che portasse in una stanza buia e di piazzare delle candele al di fuori della stanza per creare un'immagine. Quest'invenzione divenne un ottimo strumento per esperimenti scientifici di altri scienziati nei secoli a seguire. Per esempio, Isaac Newton utilizzò la tecnica della camera oscura per l'esperimento della scomposizione dei colori della luce solare con il prisma e lo scienziato olandese Gemma Frisius usò la camera oscura per osservare le eclissi solari.

Il concetto fu poi ripreso da Leonardo da Vinci, il quale nei suoi scritti specificava la necessità di sigillare la stanza per evitare l'entrata di luce non voluta e il fatto che la camera oscura e l'occhio avessero molte somiglianze, in termini di funzionamento. Il concetto fu ulteriormente spiegato da altri scienziati nei secoli a seguire, come Giovanni Battista della Porta nel suo libro "Magia Naturalis" nel 1558.

Le prime fotografie vere e proprie, catturate con la camera oscura risalgono agli inizi del XIX secolo, quando il francese Joseph Nicéphore Niépce utilizzò del materiale fotosensibile per la prima volta per catturare la luce e creare un'immagine. Tuttavia, la foto non era visibile perché doveva essere sviluppata, una tecnica che fu inventata nel 1839 da un astronomo. Infatti, il primo a creare la prima foto vera e propria fu lo scienziato Sir David Brewster, il quale diede il nome alla fotografia stenopeica nel suo libro, pubblicato nel 1850. Le sue fotografie sono esposte in alcuni musei di Londra.

Mentre nel XX e XXI secolo, ci fu l'avvento della fotografia digitale, il concetto della fotografia stenopeica fu di grande aiuto nel sviluppare oggetti di tecnologia avanzata da parte delle grandi industrie come la NASA, dove le lenti non erano necessarie.

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Ex-manicomio di Volterra

L’ex ospedale psichiatrico di Volterra, un'istituzione per il ricovero di malati mentali, nacque nel 1887, anno in cui il cavalier Aurelio Caioli divenne presidente della Congregazione di carità di Volterra. La sede dell'Ospedale corrispondeva e corrisponde tuttora alla zona Borgo San Lazzero
Dal 1978, in seguito alla legge n. 180, l'ospedale è in stato di abbandono.

L'ospedale psichiatrico di Volterra nasce in seguito all'istituzione di un ospizio di mendicità per i poveri del comune, riconosciuto ente morale il 5 giugno 1884. 
In quel tempo la provincia di Pisa mandava circa 500 malati di mente all'ospedale di San Niccolò di Siena. Per diminuire il numero dei ricoverati la direzione dell'ospedale di San Niccolò aumentò la retta giornaliera a 1,50 lire. Il prefetto di Pisa, comm. Sensales, si adoperò per farla ridurre, ma inutilmente; si rivolse quindi agli enti locali di ricovero della provincia, offrendo la retta di una lira. Aurelio Caioli, divenuto nel 1887 presidente della Congregazione di carità di Volterra, accettò l'offerta e fece una convenzione con la provincia con conseguente trasferimento dei primi trenta malati di mente da Siena a San Girolamo (originaria sede della prima sezione dementi).[1] 
Nel 1889 Caioli trasferì la sezione anziani dal convento di S. Girolamo all'attuale ospizio di Santa Chiara, perché i ricoverati nella sezione dementi aumentavano di anno in anno. Nel 1890 la Congregazione dovette affittare la villa di Papignano, nelle vicinanze del convento, per ospitarli. Nel 1897 la sezione dementi divenne ufficialmente «Asilo Dementi». In quell'anno i ricoverati erano saliti a 75. 
Già nel 1896 Caioli aveva incaricato l'ingegner Filippo Allegri di predisporre il progetto per un vero e proprio manicomio, pensando ad un istituto convenzionato non solo con la provincia di Pisa ma anche con quelle limitrofe. 
Tra il 1896 e il 1897 fece costruire un padiglione capace di oltre 200 posti letto: si tratta del «Krafft-Ebing», successivamente denominato «Scabia». 
La nuova struttura permise l'aumento della popolazione dell'Asilo Dementi: dai 130 del 1898 ai 282 del 1900. Ma l'anno seguente le presenze diminuirono a 156 a causa del mancato accordo con l'Amministrazione pisana che riteneva inopportuno costruire il manicomio lontano dal capoluogo e dalla sede dell'Università. L'opposizione pisana fu dettata inoltre anche dalla volontà di far nascere un manicomio nella Certosa di Calci, certamente più vicina al capoluogo. Ciò indusse l'allora direttore dell'Asilo Dementi, A. Giannelli, psichiatra romano, a rinunciare all'incarico.

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Cesio 135

Il progetto nasce verso la fine del 2009 con l'intento di creare una band fresca e originale che potesse miscelare le varie influenze del panorama metal acquisite dai fondatori.
La band completa la sua formazione a fine 2011 e comincia a lavorare alla stesura dei primi pezzi inediti, alla ricerca di un sound potente con melodie "catchy" e immediate.
A causa di problemi interni e due cambi di line-up il lavoro di composizione subisce dei rallentamenti per riprendere piena attività nell'inverno 2015.
Il 2016 dà la luce al primo EP dal titolo "Grown"; registrato presso l'Epidauro Studio Recording di Matteo D'Alessandro e contenente 4 brani inediti da cui sono estratti i due video "Behind You" e l'omonima "Grown", a seguito del quale la band registra importanti concerti in Toscana e nord Italia, aprendo e dividendo il palco assieme a nomi quali Temperance; Overtures; Hell's Guardian; Speed Stroke; Noise From Nowhere; Carved; Junkie Dildoz....

ENG:
The project was born towards the end of 2009 with the intent to create a fresh and original band that could mix the various influences of the metal scene acquired by the founders.
The band completed its formation in late 2011 and starts work on the first songs, searching for a powerful sound and catchy melodies.
Due to internal problems, and two changes of line-up the band's work suffers slowdowns to resume full activities in the winter of 2015.
2016 gives light to the first EP entitled "Grown"; registered at the Matteo D'Alessandro's "Epidauro Studio Recording" and containing 4 new songs from which are extracted the two videos "Behind You" and the homonymous "Grown", following which the band recorded important shows in Tuscany and northern Italy, opening and dividing the stage together with names such as Temperance; Overtures; Hell's Guardian; Speed Stroke; Noise From Nowhere; Carved; Junkie Dildoz ...

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Mani

Le Mani (Giorgio Gaber)

Un incontro civile fra gente educata 
che si alza in piedi che si saluta 
un incontro un po' anonimo reso più umano 
da una cordiale stretta di mano.

 

Una mano appuntita una mano un po' tozza 
una mano indifesa che fa tenerezza 
una stretta di mano virile e fascista 
che vuol dire non sono un pederasta.

 

Una mano un po' timida poco convinta 
tu parti deciso e lei ti fa la finta 
una mano furbetta da pubblicitario 
una mano pulita da commissario.

 

Una mano a spatola che scatta nervosa 
un'altra suadente un po' troppo affettuosa 
una mano imprecisa una squallida mano 
da socialdemocratico da repubblicano.

 

Una mano da artista tortuosa e impotente 
una mano da orso pelosa e ignorante 
una mano commossa di chi ha tanti guai 
una mano da piovra che non ti lascia mai

 

Un carosello inutile grottesco e giocondo 
in questa palla gigante che poi è il mondo.

 

Un mondo di assurdi esseri umani 
un gioco abilissimo un intreccio di mani 
ci comunichiamo cosi spudorati 
quando ci siamo affezionati.

 

Mani educate di anziani signori 
mani abilissime di gente d'affari 
mani che ti lisciano con troppa simpatia 
con un tocco morboso che sa di sagrestia

 

Un festival viscido e nauseabondo 
in questa grande famiglia che poi è il mondo.

 

Mani di amici di dottori di insegnanti 
mani di attori di divi di cantanti 
mani di ministri che chiedono la fiducia 
mani sottili manovrate con ferocia.


Mani bianchissime schifose da toccare 
mani inanellate di papi da baciare
mani scivolose di esseri umani 
mani dappertutto tantissime mani

 

Le guardo mi sommergo annego e sprofondo 
in questo lago di merda che poi è il mondo.

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Eleonora a Volterra

Un matto (Fabrizio de André)

 

Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te lo scemo che passa
e neppure la notte ti lascia da solo
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro

E se anche tu andresti a cercare
le parole sicure per farti ascoltare
per stupire mezz'ora basta un libro di storia
io cercai di imparare la Treccani a memoria
e dopo maiale, Majakowskij, malfatto
continuarono gli altri fino a leggermi matto

E senza sapere a chi dovessi la vita
in un manicomio io l'ho restituita
qui sulla collina dormo malvolentieri
eppure c'è luce ormai nei miei pensieri
qui nella penombra ora invento parole
ma rimpiango una luce, la luce del sole

Le mie ossa regalano ancora alla vita
le regalano ancora erba fiorita
ma la vita è rimasta nelle voci in sordina
di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina
di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia
"una morte pietosa lo strappò alla pazzia"

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1522

La violenza maschile sulle donne assume molteplici forme e modalità, sebbene la violenza fisica sia la più facile da riconoscere. Non esiste un profilo della donna-tipo che subisce violenza. La violenza può coinvolgere tutte le donne.

Franca Rame

C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore…

Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, fortemente, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare. Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Io… io non sto capendo niente di quello che mi sta capitando.

Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Dio che confusione. Come sono salita su questo camioncino? Ci sono venuta io da sola? Muovendo i piedi uno dietro l’altro, dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso? Non lo so. Non lo so.

È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare… e il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Ma perché me la storcono tanto? Io non tento nessun movimento. Io sono come congelata.

Ora, quello che mi tiene da dietro non tiene più il suo ginocchio contro la mia schiena… s’è seduto comodo… mi tiene tra le sue gambe… divaricate come ho visto fare anni fa, ai bambini quando toglievano loro le tonsille. È l’unica immagine che mi viene in mente.

Ma perché la radio? Forse, forse perché non grido. Non c’è molta luce, neanche molto spazio, è per questo che mi tengono semidistesa. Oltre a quello che mi tiene da dietro, ce ne sono altri tre. Li sento calmi, sicurissimi. Che fanno? Si accendono una sigaretta.

Fumano adesso? Perché mi tengono così e fumano? Ho paura, sta per capitare qualcosa, lo sento. Respiro a fondo… due, tre volte. Ma non riesco a snebbiarmi. Ho soltanto paura. Uno, uno si muove, si ferma qua in piedi davanti a me, l’altro si accuccia alla mia sinistra, l’altro a destra, sono vicinissimi. Ho paura, sta per capitare qualcosa, lo sento. Aspirano profondamente le sigarette. Vedo il rosso delle sigarette vicino alla mia faccia.

Quello che mi tiene da dietro non ha aumentato la stretta, soltanto teso tutti i muscoli… li sento intorno al mio corpo come a essere più pronto… a bloccarmi. Il primo che si è mosso, si inginocchia tra le mie gambe divaricandomele, è un movimento preciso che pare concordato con quello che mi tiene da dietro, infatti subito i suoi piedi si mettono sopra ai miei, a bloccarmi.

Io ho sù i pantaloni. Perché mi aprono le gambe con sù i pantaloni? Sono a disagio, peggio che se fossi nuda! Da questa sensazione mi distrae qualcosa che non riesco a capire subito, un tepore tenue poi sempre più forte, fino a diventare insopportabile, sul seno sinistro. Una punta di bruciore. Le sigarette… le sigarette, ecco perché si erano messi a fumare. Io non so cosa debba fare una persona in queste condizioni, io non riesco a fare niente, mi sento come proiettata fuori, affacciata a una finestra, costretta a guardare qualcosa di orribile. Una sigaretta dietro l’altra sotto il golf, fino alla pelle, insopportabile. Il puzzo della lana bruciata deve disturbare: con una lametta mi tagliano il golf da cima a fondo, mi tagliano il reggiseno, mi tagliano… anche la pelle in superficie. Nella perizia medica misureranno ventun centimetri.

Quello che è inginocchiato tra le gambe, ora mi prende i seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature… Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena. Ora tutti si danno da fare per spogliarmi una gamba sola… una scarpa… sola. Ora uno mi entra dentro. Mi viene da vomitare. Calma, devo stare calma. Mi attacco ai rumori della città, alle parole delle canzoni. Devo stare calma. “Muoviti, puttana. Devi farmi godere”.

Non conosco più nessuna parola, non capisco nessuna lingua. Sono di pietra.

“Muoviti puttana, devi fammi godere”. Ora è il turno del secondo… Una sigaretta dietro l’altra: “Muoviti puttana devi farmi godere”. La lametta che è servita per tagliarmi il golf mi passa sulla faccia una, più volte, non sento se mi taglia o se non mi taglia. “Muoviti, puttana. Devi farmi godere”. È il turno del terzo. Il sangue dalle guance mi cola alle orecchie. “Muoviti puttana, devi farmi godere”. È terribile sentirsi godere nella pancia… Delle bestie.
Sto morendo, riesco a dire. Ci credono, non ci credono.

Facciamola scendere. Sì, no. Vola un ceffone tra di loro e poi mi spengono una sigaretta, qui, sul collo. Ecco, io lì, credo di essere finalmente svenuta. Sento che mi stanno rivestendo. Mi riveste quello che mi teneva da dietro come se io fossi un bambino piccolo. Non sa come metterla con i lembi del mio golf tagliato, me lo infila nei pantaloni e si lamenta, si lamenta perché è l’unico che non abbia fatto l’amore… pardon… è l’unico, che non si sia aperto i pantaloni, mi mettono la giacca, mi spaccano gli occhiali e il camioncino si ferma per il tempo di farmi scendere e… e se ne va.

Mi chiudo la giacca sui seni scoperti. Dove sono? Al parco. Mi sento male… mi sento male proprio nel senso che mi sento svenire… e non soltanto per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per la rabbia, per l’umiliazione, per lo schifo… per le mille sputate che mi son presa nel cervello… per… quello che mi sento uscire. Mi appoggio a un albero… mi fanno male anche i capelli… certo me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo una mano sulla faccia… è sporca di sangue.

Alzo il bavero della giacca e vado. Cammino… cammino non so per quanto tempo. Non so dove sbattere, a casa no, a casa no. Poi… senza neanche accorgermene, mi trovo all’improvviso davanti al Palazzo della Questura. Sto appoggiata al muro della casa di fronte, non so per quanto tempo sto a guardarmi quell’ingresso. Le persone che vanno, che vengono, i poliziotti in divisa, penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… penso alle domande, penso ai mezzi sorrisi, penso e ci ripenso, poi mi decido… Vado a casa, vado a casa. Li denuncerò domani.

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